In tutto il mondo il 20 novembre si celebra la Giornata Internazionale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, come ricorrenza della firma della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia sottoscritta a New York dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la prima volta il 20 novembre 1989 da molti Stati; l’Italia ha aderito nel 1991.
Tra i diritti si ritrova la possibilità di sviluppare una propria personalità e di poter giocare, riposare, partecipare ad attività culturali all’interno di un ambiente (famiglia, scuola, istituzioni) che promuova protezione, assistenza e salute.
Il gioco nell’infanzia può essere descritto come un’attività piacevole e volontaria che permette al bambino di esplorare la realtà e di esprimere se stesso, contribuendo sia allo sviluppo cognitivo che affettivo.
In altre parole attraverso il gioco il bambino costruisce i pensieri, le opinioni, gli stati d’animo relativi a se stesso e agli altri in modo attivo e personale sulla base dell’interazione con l’ambiente.
Inoltre è più facile che i bambini facciano amicizia durante il gioco piuttosto che al di fuori di esso.
Solo nel giocare il bambino è in grado di essere creativo e di esprimere pienamente la propria personalità per cui è solo nell’essere creativi che gli individui scoprono la propria identità.
Il gioco subisce una serie di cambiamenti evolutivi; esso si manifesta in varie forme durante l’intero arco di vita e presenta una base culturale.
Nei primi mesi di vita il gioco si manifesta come esercizio senso-motorio per cui il bambino sperimenta le proprie capacità sensoriali e motorie sul suo corpo e sugli oggetti circostanti (es. mordere giocattoli di gomma o di stoffa, battere due oggetti l’uno contro l’altro, gettarli…).
Successivamente a partire dal secondo anno si sviluppa la capacità di “far finta” che si traduce nel gioco simbolico o di finzione, implicante la creazione, tramite processi cognitivi, di una realtà immaginaria.
Lo sviluppo di questo tipo di gioco avviene gradualmente: inizialmente il bambino si rappresenta una realtà immaginaria attraverso azioni ed il supporto di oggetti concreti (es. il bambino usa dei cubi per fare i vagoni del treno), mentre successivamente il gioco diventa puramente simbolico.
Verso i tre anni il gioco subisce un ulteriore sviluppo: il bambino, attraverso il gioco sociale di finzione o gioco sociodrammatico, esplora le caratteristiche della struttura sociale, agendo ruoli diversi (es. i bambini giocano a fare la mamma o il papà).
Con la fanciullezza il gioco sociale si arricchisce ed acquista importanza il gioco governato da regole che richiede da parte di tutti il rispetto di alcune regole precise.
Dall’età scolare i bambini sono in grado di rispettare in modo puntuale le regole ed eventualmente di modificarle per adattarle alle esigenze del gruppo.
É proprio nei momenti di gioco che spesso i genitori o gli educatori possono riscontrare nei bambini delle problematiche comportamentali con i coetanei o delle reazioni emotive inadeguate.
Molte informazioni su come il bambino vive ed elabora la realtà circostante possono essere rilevate durante l’attività ludica per cui il gioco risulta essere un importate strumento diagnostico e terapeutico.
Risulta quindi fondamentale, grazie all’aiuto fornito da uno psicologo, riconoscere, comprendere e intervenire in tutte quelle situazioni in cui il bambino si trova a disagio e risultano poco soddisfacenti le relazioni con i coetanei, il clima familiare, le autonomie personali e i rapporti all’interno del contesto scolastico; ciò risponde a uno dei diritti fondamentali dell’infanzia e dell’adolescenza che è quello alla salute, promosso da una famiglia che fornisca educazione, protezione e cure appropriate, nel rispetto dei diritti altrui.